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Pensieri condivisi

Tirare avanti, con l’Alzheimer dietro

Intro

Cardine della Mission di Fondazione Roche è la tutela dei diritti della persona, specialmente se in condizioni di fragilità. Gli anziani con demenza rappresentano un’emergenza non solo dal punto di vista medico, ma anche sociale (per l’impatto che hanno sulle famiglie) e sanitario (per l’onere che rappresentano oggi, ma soprattutto domani, per il S.S.N.).

In questo articolo Michele Farina, firma del Corriere della Sera, fortemente impegnato sul tema, condivide qualche riflessione, riportando anche l’esperienza della sua “creatura”, Alzheimer Fest, che Fondazione Roche orgogliosamente sostiene da anni.


Articolo

Tiriamo avanti, con l’Alzheimer dietro” mi ha detto Gianni Zanotti il giorno in cui ci siamo incontrati. Siamo diventati amici. Una volta, alla domanda “come stai”, mi ha risposto: “Non mi lamento, ma sai com’è, l’Alzheimer lavora”.
Semplice. Geniale, persino rispettoso di una malattia bastarda che invece faceva di tutto per svuotargli la vita. “L’Alzheimer lavora, ma neanche io sto con le mani in mano”, diceva Gianni sorridendo.

Negli ultimi dieci anni, dopo averlo visto all’opera con mia madre, ho girato l’Italia incontrando centinaia di persone che tirano avanti con l’Alzheimer dietro. C’è tutto un mondo straordinario che non resta mai con le mani in mano, anche se spesso resta isolato. Un mosaico di energie dove ciascuna realtà, magari all’insaputa dell’altra, mette un tassello: un pezzo piccolo o grande di conoscenza, passione, impegno civile.

Lo stakanovista chiamato Alzheimer è bravissimo a far sentire le persone sole, a trascinare le famiglie in una ritirata senza fine, frustrando gli sforzi di coloro che a vari livelli cercano di porvi rimedio. “Le demenze rappresentano un buon banco di prova per misurare l’evoluzione culturale di una comunità”, mi ha detto una volta la neurologa Amalia Bruni. E non dimentico ciò che mi disse il suo collega Stefano Cappa: “Per chi studia i meccanismi mente–cervello, l’Alzheimer è una delle malattie che ci insegnano di più”.

Anche le persone che sono colpite dalla malattia ci insegnano molto. In un libro che s’intitola Quando andiamo a casa?, ho raccolto molte delle loro storie. Ciascuna storia è una sorpresa da ammirare. Bere Miesen, l’inventore in Olanda degli Alzheimer Caffè, mi faceva notare che per tutti noi, sani e meno sani, le situazioni più difficili da affrontare sono quelle in cui, per poco o per tanto, finiamo per “perdere il controllo” sulla nostra vita.

Chi vive con una forma di demenza perde “la presa” ogni giorno, e ogni giorno si trova comunque in parete, alla ricerca del minimo appiglio. In fondo anche chi fa ricerca, se vuole raggiungere un obiettivo, deve partire dalle sconfitte, addirittura in qualche modo “abbracciare la sconfitta”, “volare” arrampicando per trovare un appiglio da cui ripartire.

Quando con il professor Marco Trabucchi e altri amici incontrati lungo il cammino abbiamo deciso di dare vita all’Alzheimer Fest, l’idea non era quella di dimenticare per qualche giorno il bagaglio di sconfitte e frustrazioni che si trascina dietro chiunque viva con la demenza o cerchi a vari livelli di trovare qualche rimedio. L’idea era quella di mettere insieme i tasselli del mosaico: i protagonisti, i familiari, gli operatori, i medici, i ricercatori, gli artisti, chi lo vive sulla propria pelle e chi non ne sa niente.

Dal 2017 a oggi l’Alzheimer Fest è diventato un punto di riferimento per tante persone. Una festa itinerante che ha creato connessioni, talvolta inaspettate, mostrando la bellezza di un “mosaico umano” che certo presenta ancora tanti buchi. Tanti pezzi mancano all’appello di una comunità che si vuole “amica” delle persone con demenza. Abbiamo giacimenti di tenerezza ma anche di sana indignazione a cui attingere. Eppure restiamo più che mai “inguaribili ottimisti”.

E nutriamo un profondo senso di gratitudine per tutti coloro, Fondazione Roche inclusa, che in questi anni hanno messo energie e competenze anche nella realizzazione del Fest. Perché è vero che l’Alzheimer lavora e non fa giorni di vacanza, ma intorno al suo macchinario infernale c’è un sacco di gente che cerca di fermarlo senza mai stare con le mani in mano.

Chi ogni giorno lavora per trovare soluzioni farmacologiche alle patologie neurodegenerative e chi si adopera per mantenere la dignità e la gioia delle persone colpite da demenza navigano sulla stessa barca, nutrono gli stessi sogni. Ed è bello non dimenticarlo.


Bio

Michele Farina, 58 anni, è nato a Milano e dal 1992 è giornalista al Corriere della Sera. Ha conosciuto l’Alzheimer in famiglia e, dopo la scomparsa della mamma, ha raccontato le storie di chi vive con una forma di demenza e di chi opera nel mondo della cura e della ricerca.

Ha scritto due libri:

  • Quando andiamo a casa? Mia madre e il mio viaggio per comprendere l’Alzheimer
  • Neurovelox, storia di amore, Alzheimer e velocità

Dal 2017 organizza, con il professor Marco Trabucchi e con tanti amici e amiche, l’Alzheimer Fest, evento itinerante che vede tra i suoi sostenitori Fondazione Roche. L’idea di fondo è semplice e impegnativa: l’Alzheimer non spazza via la vita.