Pensieri condivisi
Il ruolo della RWE, la centralità dei dati e il valore in sanità
Intro
La Fondazione Roche ha da tempo intrapreso un percorso di approfondimento sul tema dei dati in sanità, in merito al quale nel 2022 ha curato una pubblicazione che — con l’ausilio di autorevoli esperti — ha approfondito l’argomento secondo molteplici prospettive, con l’obiettivo di esplorare le diverse aree entro cui i dati possono essere valorizzati a vantaggio dei cittadini e del SSN.
Tra i vari ambiti applicativi, assume certamente rilevanza la Real World Evidence, che consente di misurare la “effectiveness” di una terapia farmacologica nella pratica clinica concreta, e cioè il vantaggio che essa può apportare in condizioni di utilizzo ordinario.
Proprio perché la ponderazione del beneficio generato dal trattamento costituisce un elemento centrale per la sostenibilità del sistema sanitario, riteniamo che sia opportuno dedicare attenzione anche in questa sede al tema della Real World Evidence: per questo motivo abbiamo chiesto al Prof. Gennaro Daniele, che ringraziamo, un contributo che auspichiamo possa essere anche di vostro interesse.
Buona lettura e grazie per l’attenzione.
Fondazione Roche
Articolo
La definizione di “real world evidence (RWE)” si riferisce all’evidenza generata da dati (Real World Data, RWD) raccolti in condizioni di pratica clinica, provenienti da diverse fonti come dati sanitari raccolti da cartelle e registri di patologia. In generale, metodologicamente ci si riferisce alla RWE come quella pratica necessaria a misurare la “effectiveness” di un trattamento introdotto in clinica, intesa come la sua capacità di generare un beneficio in condizioni di utilizzo routinario, spesso contrapposta alla “efficacy”, cioè la capacità di generare un beneficio ai pazienti inclusi in studi clinici controllati.
In effetti, la maggior parte degli studi registrativi (randomizzati e controllati) sono condotti con criteri di selezione dei pazienti che tendono a massimizzare la probabilità di evidenziare un effetto farmacologico. In quest’ottica, è un dato ricorrente in letteratura che da questi studi siano classicamente esclusi i pazienti con medio/basso performance status (ECOG ≥ 2), che rappresentano una discreta porzione di pazienti con cancro. Ancora, i pazienti con metastasi cerebrali vengono esclusi da ogni fase dello sviluppo clinico, così come i pazienti anziani.
L’effetto di queste esclusioni è, da un lato, come detto, la massimizzazione della probabilità di evidenziare l’effetto farmacologico, anche massimizzando la compliance dei pazienti al trattamento e l’efficientamento del processo di drug development con trial più piccoli e brevi.
Dall’altro lato, però, viene anche aumentata la probabilità di riscontrare nella pratica clinica, dopo l’introduzione dell’intervento, un effetto ben minore dello stesso, per effetto della “diluizione” operata dalla maggiore proporzione di pazienti con caratteristiche sfavorevoli (performance status, comorbidità, ridotta compliance) cui il farmaco viene somministrato nella routine clinica.
Per esempio, un caso recente di questa differenza riguarda il tumore primitivo del fegato (HCC) e l’introduzione del primo farmaco che ha dimostrato, in due studi clinici randomizzati [1, 2], il prolungamento della sopravvivenza (circa 3 mesi di vantaggio): il sorafenib. Questo farmaco, approvato per tutti i pazienti HCC sulla base dei risultati di due trial condotti su pazienti HCC altamente selezionati (in primis per la funzione epatica), ha visto in condizioni di pratica clinica un vantaggio ridotto [3], dovuto sostanzialmente alla maggiore prevalenza di pazienti HCC con funzione epatica compromessa (prognosi sfavorevole indipendente dal cancro) e scarsa compliance. La decisione regolatoria ha, tra l’altro, impedito il completamento di uno studio accademico che avrebbe risposto al quesito sull’efficacia nei pazienti con ridotta funzionalità [4] e pertanto la RWE ha rappresentato l’unico strumento utile per definire “l’effectiveness” del farmaco.
In realtà, i campi di applicazione proposti finora per l’utilizzo della RWE includono, oltre a quello succitato, anche la possibilità di utilizzo per descrivere la sicurezza di un trattamento, elettivamente quella cronica, su larga scala e in condizioni d’uso clinico (i.e. farmacovigilanza). Inoltre, la RWE può consentire di valutare la trasferibilità di procedure terapeutiche/diagnostiche complesse e sostituire l’evidenza di efficacy nelle condizioni in cui gli studi randomizzati non sono possibili o particolarmente difficili [5].
Appare chiaro, quindi, che con tali presupposti da più parti venga invocata la necessità di utilizzo della RWE a fini regolatori. Infatti, mentre l’utilizzo di RWE è ben codificato ed utilizzato a fini regolatori in Unione Europea, manca al momento una definitiva linea guida e tendenza sull’uso della RWE per stabilire l’efficacia o l’effectiveness di un nuovo farmaco a fini registrativi. In generale, sia negli Stati Uniti nel 2018 sia in Europa con il progetto OPTIMAL del 2019, il regolatore ha raccolto la sfida di definire le basi per l’utilizzo a fini decisionali della RWE, concentrandosi su tre aspetti di qualità:
- qualità del dato,
- qualità metodologica degli studi,
- soddisfacimento dei criteri di ammissibilità regolatoria delle evidenze.
Successivamente, la questione della RWE è stata inserita nel contesto generale dello sviluppo dei “big data” e nel 2021, a livello del network delle autorità regolatorie europee, è iniziato un progetto la cui conclusione è prevista nel 2025 e che stabilirà i criteri qualitativi e il valore ai fini decisionali delle evidenze prodotte anche in contesti RW [6].
Nell’ambito di questo progetto sono emersi due aspetti fondamentali di discussione e sviluppo ulteriore.
Il primo punto riguarda la produzione e l’accesso a dati di qualità adeguata. La situazione nei diversi Paesi dell’Unione, in termini di infrastruttura, è molto varia, per esempio in termini di utilizzo di strumenti per dati sanitari elettronici, di validazione degli stessi oltre che della diffusione di questi strumenti sia nelle cure primarie sia in quelle secondarie e specialistiche. Il primo passo è pertanto stato quello di stabilire degli standard qualitativi e investire nell’accesso ai RWD. Per questo scopo è nato, nel 2022, il progetto DARWIN-EU, un network europeo di RWD che consenta la collaborazione di tutti gli stakeholders (aziende, pazienti, accademia, operatori della sanità) nella raccolta di dati strutturati e il rapido accesso agli stessi a fini decisionali da parte dell’Autorità Regolatoria o di prioritizzazione da parte dei produttori/sviluppatori di nuovi farmaci.
Recentemente è stato pubblicato il primo report [7] sulle esperienze e i primi risultati dei progetti pilota (tutti ancora in corso) di RWE condotti nell’ambito europeo (sia dentro che fuori dal progetto DARWIN-EU) e sulla loro ricaduta regolatoria. È molto interessante notare che, come descritto nel rapporto, l’utilizzo dei RWD è stato ritenuto utile ai fini del percorso decisionale nel 63% dei casi e critico (cioè la decisione sul prodotto/intervento è stata basata sull’uso dei RWD) nel 56% circa.
A questo aspetto attiene il secondo punto di discussione: stabilire cioè il valore “regolatorio” della RWE. Chiaramente, la discussione parte dalla contrapposizione ideologica tra la RWE e l’evidenza prodotta dai trial controllati randomizzati. L’utilizzo della prima, escludendo le applicazioni di farmacovigilanza, rimane quasi confinato alle condizioni in cui è impossibile (logisticamente e/o metodologicamente) il disegno e la conduzione di studi adeguatamente potenti, randomizzati e controllati. La discussione è oggi spostata verso l’individuazione dei punti in cui la RWE rappresenti la fonte migliore (indipendentemente dalla possibilità di condurre studi randomizzati) per fornire dati robusti e credibili per la decisione regolatoria.
Ovviamente, in questa discussione ritorna cruciale il concetto del “dato di qualità” e dell’accesso al dato. Quest’ultimo aspetto è di grande attualità considerando le grandi possibilità, dovute all’avanzamento tecnologico, di raccolta dati direttamente dal paziente (ePRO) e il significato per la trasformazione della sanità globale verso il concetto di Value-Based HealthCare (VBHC).
La VBHC è il modello di cura in cui gli operatori della sanità (ospedali e singoli operatori) vengono remunerati sulla base degli esiti del percorso di prevenzione e cura più che sui volumi di attività sanitaria svolta [8]. In questo modello, il ruolo del dato RW diventa centrale. In fase di disegno del modello, esso rappresenta la base conoscitiva su cui costruire gli interventi, spesso basati sulla prevenzione e sulle modifiche di stile di vita più che su singoli trattamenti. In fase di attuazione, la conoscenza degli esiti (outcome) è possibile solo dall’analisi dei RWD raccolti in maniera strutturata.
Conclusioni
Non è retorica affermare che il dato rappresenti la risorsa fondamentale per il futuro della sanità, dalla ricerca al disegno di modelli moderni di gestione della prevenzione/terapia delle malattie. La più grande sfida che ci aspetta nei prossimi, pochi, anni è quella di adeguare l’infrastruttura, sia tecnologica sia normativa, di raccolta e accesso ai dati sanitari, oltre che di stabilire un valore regolatorio intrinseco alla RWE che consenta, da un lato, la decisione ai fini registrativi di un prodotto/intervento e, dall’altro, la valutazione degli esiti per il modello della VBHC.
La collaborazione tra i vari stakeholders (accademia, corpi governativi, operatori della sanità, pazienti) rappresenta l’unico modo per arrivare ai risultati attesi per il 2025.

Bio
Gennaro Daniele è un medico oncologo specializzato nello sviluppo di farmaci e nella ricerca traslazionale. Ha trascorso diversi anni in Svizzera (Bellinzona) e presso la Drug Development Unit della Royal Marsden, ospedale che esegue studi di fase 1 in oncologia.
Tornato in Italia nel 2012, ha lavorato per dieci anni presso l’Unità Sperimentazioni Cliniche dell’Istituto Nazionale dei Tumori “G. Pascale” di Napoli, dove ha progettato e coordinato più di trenta sperimentazioni cliniche accademiche in qualità di sponsor, in particolare nel campo della ginecologia oncologica.
Dal 2019 fa parte del Policlinico Gemelli di Roma, dove ha costruito il Drug Development (Phase 1) Program e ricopre il ruolo di Direttore R&D del Clinical Trial Center SpA (società del Policlinico Gemelli). In questi anni ha collaborato con AIFA come esperto per la valutazione di sperimentazioni e farmaci in oncologia ed è stato visiting expert presso EMA; dal 13 gennaio 2023 è membro del Comitato per le sperimentazioni cliniche presso il Ministero della Salute.
È autore di circa 60 articoli sottoposti a revisione paritaria, con un H-index di 30 (Google Scholar).